Il TENNIS MONDIALE PARLA ANCORA SERBO: A TORINO VINCE DJOKOVIC

Quando penso al tennis ho la sensazione che sarebbe stato lo sport giusto per me, perché nel tennis sei tu contro tutti… l’avversario, il pubblico, le circostanze e contro ogni tipo di avversità. Quando si gioca dipende tutto da te e da come riesci a gestire ogni forma di tensione ed ogni ostacolo che la partita ti mette davanti. Forse per me sarebbe stato ideale così.

Oggi a Torino per le ATP Finals abbiamo visto lo scontro tra due grandissimi campioni del tennis che hanno dato vita ad un incontro in cui l’adrenalina si palpava anche attraverso un televisore. Atmosfera surreale perché la posta in palio era davvero alta e perché si è giunti ad una finale dopo una serie di battaglie accesissime e per nulla scontate.

Da una parte il numero 1 al mondo: Novak Djokovic. Lui è semplicemente il detentore di ogni record del tennis ed è allo stato attuale una macchina da guerra che ha inanellato successi su successi in un percorso sportivo encomiabile. A 36 anni continua ad essere in forma smagliante e non ci sta minimamente a fare passi indietro.

Dall’altra parte l’italiano più gettonato del momento: Jannik Sinner. Il nostro beniamino è il numero 4 al mondo ma è soprattutto colui che ha trascinato il nostro Paese verso questa storica finale riuscendo a convincere tutti e a conquistarci con la sua aria da bravo ragazzo che stride (fortunatamente) con le mode attuali. Lui è davvero una mosca bianca e forse, proprio per tale ragione, non è difficile essere al suo fianco e supportarlo nelle sue gesta tennistiche.

I due campioni giungono a questa finale con due percorsi diversi perché il serbo ha ceduto proprio contro Sinner durante la fase a gironi e ha rischiato successivamente di non potersi nemmeno qualificare alla semifinale proprio per via di questa sconfitta. Sinner, invece, arriva alla finale da imbattuto con tutte prestazioni di altissimo livello che lo hanno poi proiettato tra i grandissimi del tennis di oggi.

Ma la finale è un’altra storia e tutto si azzera. Il Djokovic di questa sera non era lo stesso di martedì, ma soprattutto un campione del suo calibro difficilmente ti concede 2 partite di fila. Effettivamente i favori del pronostico a favore di Sinner credo si siano già rivisti non appena Djokovic ha fatto suo il primo tempo di gioco con un paio di servizi di un altro pianeta. Il serbo ha fatto ben capire che in questa finale serviva essere extraterrestri per portarsi a casa la vittoria contro di lui perché, come anche sottolineato dal telecronista, questa sera Djokovic era a tratti “ingiocabile”.

La partita mi è sembrata indirizzata verso il binario del numero 1 al mondo già nei primi scambi nonostante il nostro Sinner abbia ben figurato e, soprattutto nel secondo set, era riuscito a tenere a galla le speranze degli italiani di riaprire una partita già scritta. I servizi di Djokovic sono stati implacabili e Sinner alla fine si è dovuto arrendere in una gara che sarà destinata a restare nella mente degli appassionati dello sport per molto tempo.

Io sono stata felice del trionfo di Djokovic perché amo questo campione “antipatico” e credo che dietro uno sportivo di questo calibro ci sia molto di più di quello che i superficiali vedono. Oggi ha superato anche il record di Federer e può considerarsi il tennista più forte di tutti i tempi. Mi piace il suo stile ed anche la sua personalità forte. Non sono un’esperta di tennis ma le sue giocate mi incantano e per me questo dice tutto. Insomma lo ammiro assolutamente perché con lui parla sempre il campo, che anche questa sera ha messo a tacere tutti.

La nota positiva di questa finale è stata indubbiamente anche la scoperta di Sinner, il baby talento italiano dagli occhi dolci e dal sorriso gentile. Da oggi infatti abbiamo trovato la nuova stella del tennis italiano che va controcorrente e conquista tutti con la sua velocità e i suoi servizi di cui sentiremo parlare per molto tempo. Insomma un secondo posto che va visto come un punto di partenza perché di finali Sinner ne raggiungerà tante e molto spesso lo condurranno sul gradino più alto del podio. A 22 anni aver tenuto testa a Djokovic sa già d’impresa. Il tempo è dalla sua parte e il suo destino credo potrà riservargli storici traguardi futuri.

Oggi ha vinto ancora Djokovic… ma il futuro del tennis potrà avere i capelli rossi?

TEMPO DI BILANCI AZZURRI: PARLIAMO DI VOLLEY

Da poco più di una settimana si sono conclusi, con il torneo di qualificazione per le olimpiadi di Parigi 2024, gli impegni del 2023 delle nazionali di volley, maschile e femminile.

E’ stata un’estate impegnativa in cui gli occhi sono stati puntati sui due appuntamenti più attesi della stagione, europeo e torneo di accesso alle Olimpiadi.

 

 

La premessa che mi permette di fare la mia esperienza da giocatrice è che arrivare a certi appuntamenti pronti e determinati non è cosa semplice, perché le vicissitudini sono tante e bisogna riuscire a gettare sin da subito le basi più consone per centrare gli obiettivi. Io sono sempre più convinta che il campo fornisce le risposte che cerchiamo ma, in alcuni casi, c’è qualcosa che va oltre il campo ed è proprio quel qualcosa che può rovinare tutto.

La squadra con più potenziale va costruita in modo oculato e con intenzioni serie e spendibili. Occorre avere le idee chiare, lontane da influenze di qualsiasi genere. In aggiunta, troppo spesso dimenticati, ci sono dei parametri che a mio avviso non possono restare al margine, specialmente se parliamo di un organico di caratura nazionale. Il primo fra tutti è il merito sportivo, al di là di qualsiasi contorno. Per merito sportivo intendo le reali capacità che un giocatore o una giocatrice dimostra di possedere sul campo, per quello che fa e non per quello che si crede possa fare. Un giocatore forte lo dimostra sempre, con la continuità delle prestazioni e con la capacità di rendere certi gesti tecnici per altri occasionali. Altri importanti parametri sono poi la disciplina, la dedizione verso ciò che si fa, il rispetto, la professionalità e la capacità di essere funzionali alla squadra, ma non come “amico/a del cuore” bensì come pedina tecnica in grado di contribuire al raggiungimento dell’ultimo punto necessario per vincere una partita. Questi parametri, oggigiorno, sono alle volte offuscati da altri aspetti che determinano, poi, degli scenari poco edificanti.

Focalizzandomi sulle due nazionali di pallavolo italiana vorrei cominciare con la nota positiva, anzi sempre più positiva direi. Sto parlando della nazionale maschile di pallavolo che, dallo scorso anno, sta facendo vedere a tutti quanto bello sia giocare a pallavolo. Già è proprio questo quello che trasmettono questi ragazzi, con i loro sorrisi contagiosi e le loro performance sempre concrete e convincenti. Con loro l’argento europeo ha il sapore del trionfo (nonostante tutto) ed anche se il pass per le Olimpiadi non è arrivato al primo tentativo ci lasciano super fiduciosi per quello che accadrà nel prossimo appuntamento utile. E’ una nazionale in grande crescita in cui traspare un disegno tecnico-tattico piuttosto chiaro su cui il sapiente Fefé ha puntato fortemente. Il campo, soprattutto lo scorso anno, gli ha dato ragione ed anche quest’anno ha saputo confermarsi ad altissimi livelli, anche perché nella pallavolo maschile il tasso tecnico delle varie nazionali è molto più equilibrato. Ci sono almeno 9/10 nazionali che possono competere per un posto sul podio nelle varie competizioni. Una Polonia sempre più consolidata a livello europeo, le solite Brasile, Stati Uniti ed anche una Cuba meno sbagliona degli ultimi anni e fatta di giocatori con doti non solo fisiche. Poi Serbia, Slovenia, Francia ed un frizzante Giappone. Ed alcune sorprese come la Germania di Grozer che, a dispetto dell’età, fa danni agli avversari e ha trascinato i tedeschi fino a Parigi 2024.

 

Insomma uno scenario certamente non facile per i nostri ragazzi azzurri che, partita dopo partita, dimostrano crescita e capacità di gioco sempre più assolute. I nostri azzurri non partono spesso con i favori dei pronostici eppure ci hanno consegnato titoli di prestigio enorme, come il mondiale dello scorso anno riuscendo a mettere tutti d’accordo. Sono splendidi ragazzi questi, nonostante a me manchino anche le giocate dello Zar verso il quale avrei riposto ancora della fiducia all’interno di questa nazionale. Ma quest’ultimo è un personale parere che nulla toglie ai tanti applausi che faccio a questa squadra.

Passiamo ora alla nota meno positiva e al caos della nazionale femminile di pallavolo. Sarei capace di scrivere un romanzo su quanto è accaduto durante tutta questa estate ma credo che non abbia alcun senso aggiungere altre parole a quanto sia stato già detto, anzi stra-detto. Chiaramente anch’io mi sono creata dei punti di vista a riguardo e sono giunta alle mie conclusioni, che da giocatrice ben informata non discostano da risapute questioni.

 

 

L’errore più grande credo siano state proprio le troppe chiacchiere da parte di tutti, un progetto troppo incerto e per nulla convincente e delle scelte tecniche alquanto discutibili. Tali scelte non le discuto io, il tipo o la tipa che commentano sui social ma le ha messe in discussione il campo stesso. Per tornare al discorso del merito sportivo sono appunto del parere che le prescelte non siano state tutte all’altezza della convocazione, mentre altre sono state sacrificate (così pare) per ragioni di spogliatoio. Ma io vi chiedo: voi volete una squadra di simpaticone o una squadra di fuoriclasse? Volete gareggiare per il “torneo della parrocchia” o volete (e potevate) vincere un europeo? Io credo che le risposte non vadano nemmeno enunciate. Gli sbagli sono stati lampanti e, ancora una volta, la nazionale femminile ha lasciato l’amaro in bocca. Un quarto posto europeo dove si è perso in tutte le partite “vere” non può renderci felici ed un pass per i giochi sfumato senza troppe incertezze credo abbiano dato ragione a tutte le giocatrici lasciate a casa, non correttamente evidentemente. Onore al merito per tutto quello che le ragazze chiamate in causa hanno provato a fare ma non è bastato. Non ha convinto, semmai ha valorizzato le lacune di un sistema ormai sempre più pilotato e poco ragionevole. Si sta riducendo tutto ad un discorso molto poco sportivo, ma dov’è finita la mia pallavolo? Io ho sempre amato la pallavolo vera, senza condizionamenti e retroscena ma da subito ho capito che questa mia visione di pallavolo esiste solo nei cartoni animati. Peccato per quello che lo sport ci perde e peccato per tutte le giocatrici che vengono assorbite da tali meccanismi. C’è chi ci marcia anche, chi ci sta bene e chi invece viene annientata senza scampo. Quando la pallavolo femminile getterà le basi per progetti meritocratici e non mediatici, quando le giocatrici smetteranno di fare le prime donne, quando chi crea tutto questo circuito penserà a quanto servirebbe mandarlo in corto, quando lo sport tornerà ad essere solo sport allora forse rivedremo una nazionale di pallavolo femminile più vincente e convincente e non dubito che riuscirà ad appassionare tutti. Se si vuole imparare dagli errori allora già nell’immediato futuro potremo ritornare ad apprezzare nuovamente la nazionale di pallavolo femminile, che ci auguriamo potrà puntare a recitare un ruolo da protagonista in ogni manifestazione e a lasciare un segnale positivo indipendentemente dal numero di vittorie. La pallavolo è semplice, basta non renderla altro.

 

 

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IL RUOLO DEI GENITORI NELLO SPORT

La parola sport può prendere piede a partire da quando siamo piccolini. E’ risaputo, in effetti, quanto praticare sport sin da da bambini possa avere un sacco di vantaggi e ci possa consentire di maturare e crescere sotto molteplici punti di vista.

Un bambino che si avvicina allo sport inizierà a prendere confidenza con il rigore, la disciplina, il rispetto. Si avrà sin da subito la possibilità di porsi obiettivi e lavorare per raggiungerli, comportamento che crea in ogni piccolo sportivo il giusto mix di agonismo, responsabilità e determinazione. Ovviamente il divertimento guai a farlo mancare, perché non si può prescindere dalla componente giocosa e più leggera di un’attività, specialmente per un bambino.

I genitori possono assolvere l’importante funzione di supportare e spronare i piccoli campioni nel loro percorso sportivo. Diventano anche educatori ed ascoltatori, mentre non dovrebbero mai diventare allenatori senza titolo. Entrare troppo a gamba tesa nelle attività del proprio figlio può non avere gli effetti desiderati, tutt’altro potrebbe far scattare nei bimbi un senso di frustrazione e di pressione a causa delle eccessive aspettative che vengono riposte in loro.

Per ogni genitore il proprio figlio è, quasi sempre, il più bravo di tutti. Il legame familiare rende quasi fisiologica questa concezione ma, invece, diventa importante saper essere più distaccati dal punto di vista emotivo e lasciare che i nostri bimbi possano fare liberamente i propri passi in funzione delle proprie capacità, sotto gli occhi e la guida di chi ha le competenze sostanziali per poterne consentire la crescita ed il miglioramento.

Altra cosa che ritengo preminente affinché un bambino si ritrovi nella strada sportiva più consona a lui è la libertà di scelta. Vale a dire che sarà il bambino stesso a dover proiettarsi verso la disciplina che più lo appassiona. Troppo spesso i figli di calciatori sono “costretti” a giocare a calcio, i figli di pallavolisti “devono” praticare pallavolo e così via. Il risultato è che spesso la forzatura porta a risultati deludenti e a mollare la presa nel breve termine. Diverso quando un figlio d’arte abbia proprio la predisposizione verso lo sport praticato da un genitore e finisce per amare la medesima disciplina senza che qualcuno lo abbia indotto. La naturalezza con cui ci si avvicina ad uno sport è spesso rivelatrice del talento che un piccolo campione si porta con sé. Questo accade perché il talento è qualcosa di innato e non si può costruire. Ma non sempre ciò che piace ai bambini trova riscontro positivo nelle idee dei genitori che potrebbero, poco intelligentemente, fare da barriera a dei sogni che qualche volta potrebbero diventare realtà.

I genitori, poi, dovrebbero dare un contributo rassicurante e di sostegno anche durante le gare. La loro presenza è infatti consigliata perché i più piccoli (e non solo) ricevono energia già solo nel sentirsi osservati e incoraggiati dai propri pilastri di vita. L’incoraggiamento non consiste nel giustificare prestazioni scadenti, nell’attribuire colpe ad altri in caso di sport di squadra o nell’esasperare le vicissitudini avvenute in campo. Basta ricordarsi che il tempo ci aiuta a migliorare e che gli errori possono essere un fondamentale insegnamento. Non tutti sono destinati a vincere ma tutti possono essere destinati a trarre il buono da ogni competizione, pur non vittoriosa.

                                                                                          

Se penso al ruolo dei miei genitori quando ho cominciato da piccolissima ad innamorarmi della pallavolo mi viene da sorridere. Loro e lo sport appartengono a mondi completamente diversi e devo dire che, anche in questo caso, ci possono essere vantaggi ma soprattutto svantaggi. Lo svantaggio più grande è che difficilmente potranno comprendere quanto un’attività sportiva possa significare per te. Loro la minimizzano e pensano sia una semplice e passeggera passione ma poi dovranno fare i conti con una presenza dello sport sempre più ingombrante per loro, al punto da poterne ostacolare il cammino. Io ho avuto la fortuna di avere autonomia perché i miei genitori avevano fiducia in me ma mi rendo conto che non sempre le cose vanno lisce, specialmente nei contesti più disagiati. Eppure se solo si capisse come, specialmente in tale ottica, lo sport possa essere un vero e proprio rimedio alle brutte compagnie o alle strade pericolose. Lo sport può diventare la medicina ideale per le “intossicazioni” sbagliate a cui potremmo essere esposti.

I genitori sono imprescindibili per i propri bambini per questo possono avere un delicato ruolo nelle loro vite sportive. Basta riuscire a trovare sempre il giusto equilibrio per far collimare i propri entusiasmi con le volontà dei piccoli, senza pressioni ma con mille modi per supportarli in modo sano e costruttivo. In questa maniera i bimbi si divertono e saranno più spronati a dare il meglio. Il genitore, così facendo, non sarà un semplice tifoso ma il valore aggiunto per il proprio bambino appassionato di sport, che in uno sguardo d’intesa o in un sorriso ritroverà sempre le forze e gli stimoli giusti per superare ogni ostacolo e vincere le sue battaglie personali da piccolo grande campione.

 

 

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IL FOGGIA FA SOGNARE… MA LA SERIE B E’ RIMANDATA

Il Foggia delle sorprese arriva vicinissimo all’impresa ma non le riesce proprio sul più bello. Nessuna recriminazione e solo tanti applausi per una squadra che ha saputo regalare forti emozioni a tutti i suoi tifosi grazie ad una scalata inaspettata durante questi playoff di Lega Pro.

Partita in sordina e, certamente, da non favorita sembrava destinata ad un mesto epilogo proprio per via dei cugini del Cerignola che, dopo la partita di andata finita a sfavore dei rossoneri per 4 a 1, avevano messo spalle al muro i ragazzi del Foggia. Da lì in poi un susseguirsi di risultati vincenti e clamorosi che hanno fatto crescere l’entusiasmo accendendo la speranza per una cavalcata destinata a chiudersi in trionfo.

Vittime illustri del cammino nei playoff del Foggia sono state soprattutto Crotone e Pescara, entrambe costruite per fare il salto di categoria ma che hanno dovuto fare i conti con i ragazzi allenati da Delio Rossi affamati e determinati che, fino all’ultimo minuto degli incontri, hanno messo anima e cuore in ogni giocata. A tal proposito è diventata famosa la cosiddetta “zona Foggia”, vale a dire quel momento della partita ormai vicino ai titoli di coda in cui invece il Foggia ha ribaltato i risultati e ha intascato le vittorie più pesanti. Impressionante cosa sono stati capaci di fare questi ragazzi che non hanno mollato in nessuna gara e ognuno ha saputo dare il suo contributo vincente. Una vera squadra che ha saputo sopperire ai momenti meno brillanti di qualcuno e ha costruito le sue vittorie grazie alla forza del gruppo e agli intenti comuni. Era palpabile, tutti volevano vincere.

 

Alla finalissima ci arrivano due squadre non accreditate al salto di categoria: Lecco e il sorprendente Foggia.             

A questo punto, a mio parere, cambia un pò la musica. E’ vero che il Foggia fino a quel punto avesse speso un sacco di energie e ci poteva stare una leggera flessione ma, a mio avviso, si è continuato ad apprezzare una squadra carica e volenterosa.

Allo Zaccheria il Foggia ha giocato una buonissima gara e avrebbe meritato la vittoria, tuttavia alcuni episodi dubbi hanno minato il risultato ed ecco che, grazie anche ad una super punizione di Lepore, la partita finisce nelle mani del Lecco. Bellissima la giocata del fuoriclasse del Lecco ma per il resto troppe cose strane hanno lasciato l’amaro in bocca. Ma il Foggia ci ha abituato a crederci fino alla fine e allora tutti con la testa alla partita di ritorno, dove ci si aspetta un riscatto immediato e la conquista di una promozione che avrebbe messo tutti d’accordo per quanto visto fino a quel momento in campo. Si arriva a Domenica 18 ed è l’ultima occasione. Il Foggia parte alla grande e al 4’ è subito rete di Bjarkason. Incredibile perché il Foggia ha tutta l’aria di volersi prendere questa serie B ed attacca molto bene un Lecco quasi frastornato da questo inizio così aggressivo dei rossoneri. Poi si concede il rigore al Lecco (vincente ancora una volta Lepore) e, poco dopo, al Foggia ne viene negato uno molto evidente. Non lo dico io che di esperienza calcistica ne ho poca, ma lo hanno detto tutti quelli che il calcio lo masticano bene. Secondo tempo i rossoneri sono giù di corda, forse anche perché hanno capito di dover giocare una partita al di sopra di troppe cose. La serie B finisce in terra lombarda ma le titubanze che hanno fatto maturare questo risultato non consentono grossi apprezzamenti. Dispiace quanto visto perché una finale di Lega Pro avrebbe meritato meno clamori e più spettacolo, senza che episodi extra potessero inficiare gare in cui non dovrebbero esistere perplessità. Ma lo sport, a quanto pare, è anche questo. Si prende atto e si va avanti.

Il ringraziamento va al Foggia che ha saputo rianimare una piazza a cui tanto bene fa questa energia positiva. I rossoneri si sono dimostrati all’altezza di questo campionato e ne escono da vincenti senza ombra di dubbio. Ho visto ragazzi talentuosi e di gran levatura tecnica a cui vanno fatti solo complimenti. Da sportiva mi rendo conto come non sia facile rispettare sempre le attese di chi ci segue e di chi ci ha scelti, ma questi ragazzi sono stati bravissimi e meritano di essere ricordati per l’impegno profuso e le prestazioni convincenti che hanno fornito. Non sottovalutiamo anche come i giocatori abbiano dovuto adattarsi agli allenatori che si sono susseguiti e non era scontato che riuscissero a trovare la quadra migliore. Insomma mi piace mettere l’accento su quanto di buono il Foggia abbia fatto quest’anno con l’augurio che una finale persa sia solo il punto di partenza per migliorarsi in vista del prossimo campionato. Saremo tutti in trepidante attesa per la prossima stagione con l’augurio di ritrovare le stesse emozioni con cui ci siamo lasciati e, chissà, forse l’appuntamento con la serie B è solo rimandato.

 

 

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INTER, FIORENTINA E ROMA TORNANO A CASA SENZA COPPA

L’ordine cronologico calcistico ci dice che Roma, Fiorentina e Inter escono sconfitte dalle tre finali guadagnate in Europa. Rispettivamente Europa League, Conference League e la prestigiosissima Champions League.

Se pensiamo ad analizzare il bicchiere mezzo pieno sicuramente il raggiungimento stesso di una finale è un ottimo risultato, soprattutto se pensiamo ad una squadra come l’Inter che si è guadagnata sul campo la possibilità di giocarsi una partita così importante superando squadre fortissime come il Bayer Monaco, il Barcellona e da ultimo il Milan. Insomma è stato importante per il calcio italiano che, a livello europeo sicuramente non sta brillando particolarmente, portare tre compagini in finale ed aver acquisito maggiore credibilità in termini di valore calcistico generale. Inoltre il raggiungimento di una finale porta con sé anche molti benefit in termini economici che fanno respirare le casse delle nostre società e non solo.

La parte vuota del bicchiere mi porta a fare subito una riflessione: siamo davvero in grado di competere in Europa? Prendendo spunto da questa domanda mi chiedo allora se manchi ancora quel qualcosa in più ai nostri club che possa permettergli di alzare al cielo più trofei, diventando meno mine vaganti e più temibili concorrenti. Ecco la sensazione che ho avuto è stata un po' questa perché, a guardare queste finali, ho notato come le partite fossero tenute in pugno dai nostri avversari nonostante il bel gioco espresso da tutte le compagini.

La Roma, per cominciare, avrebbe meritato la vittoria grazie ad una prestazione tra le migliori della sua stagione eppure, alla fine, vince il Siviglia ai rigori dopo una delle partite più lunghe a cui abbia mai assistito. Sembrava fatta ed invece il Siviglia ha retto l’assalto giallorosso per poi avere la meglio dopo gli errori dal dischetto di Mancini e Ibanez. Cose che capitano ma la partita, a mio avviso, andava vinta prima.

La Fiorentina, invece, si fa beffare al 90’ dal goal di Bowen dopo una partita molto tesa e in cui le due tifoserie hanno messo in atto uno spettacolo indecoroso che ha tolto spazio a quella che doveva essere una gara di tutt’altro interesse. Pensate che il capitano dei toscani Biraghi ha subito persino un profondo taglio alla nuca dopo essere stato colpito da un oggetto lanciato dai tifosi inglesi. I viola non hanno demeritato, anzi, ma alla fine non vincono e questa partita la intascano gli inglesi del West Ham che con maggiore lucidità hanno finalizzato meglio le occasioni da goal nonostante l’ampio possesso palla toscano. La Fiorentina quindi convince ma non vince.

L’Inter, infine, regala a tutti una bella speranza ma il suo bel gioco non è bastato per superare la corazzata Manchester City che con il meraviglioso goal di Rodri al 68’ vince la sua prima Championse League. Era difficile per il club neroazzurro ribaltare un pronostico quasi blindato, nonostante una partita secca possa regalare tante sorprese. Certamente è stato offerto un bellissimo spettacolo ma la coppa è finita nelle mani di chi a livello europeo quest’anno ha dimostrato di non avere rivali. Nessun rammarico ma molta consolazione per gli interisti.

Sarà che il nostro campionato abbia qualcosa in meno rispetto, per esempio, a quello inglese o quello spagnolo ma sarà anche che ormai ci si sta disabituando a giocare e, soprattutto, a vincere certe partite. Anche quest’anno l’egemonia del Napoli ha reso la serie A poco avvincente e, a mio giudizio, molte squadre hanno perso quella verve che ti può invece spingere a dare e fare qualcosa in più. Il piglio che potrebbe essere mancato appunto alle nostre squadre italiane in finale ma che si crea solo tenendo alti i ritmi partita dopo partita. Forse anche alcune politiche gestionali dei giocatori (e non) andrebbero rivisitate e rese più al passo con chi in Europa sta facendo la voce grossa e sa guardare in prospettiva per il conseguimento di risultati sempre maggiori.

Per quest’anno l’Europa non ci ha sorriso ma resta sempre il buono fatto per esserci arrivati molto vicini e che possa essere il punto di partenza per perfezionarsi ed avere, in un prossimo futuro, maggiori e concrete speranze di vittoria. Siamo lì ad un passo… o forse no?

 

 

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